Dal Sud ormai non scappa più soltanto chi cerca una speranza nell'emigrazione... dal Sud stanno scappando perfino le mafie.
Caro Presidente del Consiglio Matteo Renzi, torno a
scriverle dopo quasi due anni e lo faccio nella speranza di poter ottenere una
risposta anche questa volta. La prima volta Le scrissi quando il suo governo
aveva appena iniziato la propria azione di "riforma radicale della società
italiana". Oggi non si può certo pretendere dal Suo esecutivo la soluzione
di problemi endemici come la "questione meridionale": ma non ci si
può neppure esimere dal valutare le linee guida della sua azione.
Game Over. Questa è la scritta immaginaria che appare
leggendo il rapporto Svimez sull'economia del Mezzogiorno. Game Over. Per
giorni i media di tutti il mondo sono stati con il fiato sospeso in attesa di
un accordo che scongiurasse l'uscita della Grecia dalla zona euro: oggi
apprendiamo che il Sud Italia negli ultimi quindici anni ha avuto un tasso di
crescita dimezzato rispetto a quello greco. La crisi è ben peggiore: ed è nel
cuore dell'Italia. Il lavoro come nel 1977, nascite come nel 1860.
Tra i fattori di grave impoverimento della società
meridionale ci sono il decremento del tasso di natalità e l'aumento
esponenziale della emigrazione che coinvolge sopratutto i giovani più
brillanti: quelli formati a caro prezzo, nelle tante Università meridionali, funzionali
più agli interessi dei docenti che a quelli degli studenti.
Ci sono meno nascite perché un figlio è diventato un lusso e
averne due, di figli, è ormai una follia. Chi nasce, poi, cresce con l'idea di
scappare: via dalla umiliazione di non vedere riconosciute le proprie capacità.
Questo è diventato il meridione d'Italia: spolpato dai tanti don Calogero
Sedara che non si rassegnano ad abbandonare il banchetto dell'assistenzialismo.
Ed è in questo contesto che si ripopongono nostalgie
borboniche: l'incapacità del governo e la non linearità della sua azione
resuscitano bassi istinti già protagonisti della nostra storia.
"Fate Presto" era il titolo de Il Mattino
all'indomani del terremoto del 1980. Andy Wharol ne fece un'opera d'arte. E
oggi quella prima pagina si trova a Casal di Principe, in un immobile
confiscato alla criminalità organizzata, che ospita una esposizione patrocinata
dal Museo degli Uffizi di Firenze. Le consiglio di andarci, caro premier: Le
farebbe bene camminare per le strade del paese, Le farebbe bene vedere con i
suoi occhi quanto c'è ancora da fare e come il tempo, qui, sia oramai scaduto.
Per com'è messo, oggi, il Sud Italia, anche quel "Fate Presto" è
ormai sintesi del ritardo.
Potrei dunque dirLe che agire domani sarebbe già tardi: ma
sarebbe inutile retorica. Le dico invece che
- nonostante il tempo sia scaduto
e la deindustrializzazione abbia del tutto desertificato l'economia e la
cultura del lavoro del Mezzogiorno
- Lei ha il dovere di agire. E ancora prima di ammettere che ad
oggi nulla è stato fatto. Solo così potremo ritrovare la speranza che qualcosa
possa essere davvero fatto.
Le
istituzioni italiane devono infatti chiedere scusa a quei milioni di persone
che sono state considerate una palla al piede e, allo stesso tempo, sfruttati
come un serbatoio di energie da svuotare. Sì, qualche tempo fa c'è stato pure
chi ha pensato di tenere il consiglio dei ministri a Caserta, a Napoli. Ma di
che s'è trattato? Di pura comunicazione: nient'altro. Che cosa ha invece opposto
la politica italiana al dissanguamento generato dalla crisi? Dal 2008 a oggi
contiamo 700mila i disoccupati in più. Sono certo che Lei mi risponderà che la
Sua riforma del mercato del lavoro va in questa direzione: vuole fermare il
dissanguamento. Ma a me corre l'obbligo di dirLe che anche una buona
riforma - e se quella attuale lo è lo capiremo solo
negli anni - può generare effetti perversi se calata in un
sistema-Paese claudicante.
Nel frattempo, la retorica del Paese più bello del mondo ha
ridotto il Mezzogiorno a una spiaggia sulla quale cuocere al sole di agosto:
per poi scappar via. Ammesso che ci si riesca ad arrivare, su quella spiaggia,
dato che - come è accaduto alla Salerno-Reggio
Calabria - si può incappare in interruzioni sine die
(secondo le indagini, tra l'altro, frutto ancora una volta della brama di
denaro da parte di funzionari infedeli). Non creda che nelle mie parole ci sia
rancore da meridionalista fuori tempo: ma, mi scusi, che cosa crede che sarebbe
successo se le interruzioni avessero riguardato un'arteria cruciale del nord
Italia?
Troppe volte ho sentito dire che è ormai inutile
intervenire. Che il paziente è già morto. Ma non è così. Il paziente è ancora
vivo. Ci sono tantissime persone che resistono attivamente a questo stato di
cose e Lei ha il dovere di ringraziarle una ad una. Sono tante davvero. E tutte
assieme costituiscono una speranza per l'economia meridionale. E Lei che ha
l'ingrato ma nobile compito di mostrare che è dalla loro parte: e non da quella
dei malversatori. Tra i quali, purtroppo, si annidano anche coloro che
dovrebbero rigenerare l'economia.
Massimiliano Capalbo si definisce imprenditore
"eretico" e legge nella desertificazione industriale un elemento
positivo. Se desertificazione significa che impianti come l'Ilva di Taranto o
la Pertusola di Crotone o l'Italsider di Bagnoli scompariranno dalle terre del
Sud, questa - argomenta gente come Capalbo - può
essere anche una buona notizia: vuol dire che il Sud potrà crescere
diversamente. Aiutare il Sud non vuol dire continuare ad "assisterlo"
ma lasciarlo libero di diventare laboratorio, permettergli di crescere
diversamente: con i suoi ritmi, le sue possibilità, le sue particolarità. Non
dare al Sud prebende, non riaprire Casse del Mezzogiorno, ma permettere agli
imprenditori con capacità e talenti di assumere, di non essere mangiati dalla
burocrazia, dalle tasse, dalla corruzione. La corruzione più grave non è quella
del disonesto che vuole rubare: la vergogna è quella dell'onesto che - se
vuole un documento, se vuole un legittimo diritto, se vuole fare impresa o
attività - deve ricorrere appunto alla corruzione per
ottenere ciò che gli spetta. A sud i diritti si comprano da sempre: e Lei non
può non ricordarlo.
No, non mi consideri alla stregua del radicalismo ciarliero
tipico dei figli dei ricchi meridionali, i ribelli a spese degli altri. Il
vittimismo meridionale, quello che osserva gli altri per attendere (e sperare)
il loro fallimento e giustificare quindi la propria immobilità è storia vecchia.
Va disinnescato dando ai talenti la possibilità di realizzarsi. Provi a
cogliere le mie parole come la "rappresentanza" di una terra che
smette di essere al centro dell'attenzione quando non si parla di maxiblitz o
sparatorie (tra parentesi, perché non è questo l'oggetto di della discussione:
tanti studi ormai spiegano che certi exploit della violenza criminale al Sud
siano anche l'"effetto" di "cause" dall'origine geografica
ben più lontana).
Caro Presidente del Consiglio, parli al Paese e spieghi che
cosa pensa di fare per il Sud. Lei deve dimostrare di saper comprendere la
sofferenza di un territorio disseccato: solo allora avrà tutto il diritto di
chiedere alla gente del Sud di smetterla con la retorica della bellezza per
farsi davvero protagonista di una storia nuova
- costruita camminando sulle
proprie gambe. A Lei, quale più alto rappresentante della politica italiana,
spetterà dunque il compito di levare ogni intralcio a questo cammino. E i
progetti dovranno naturalmente essere concreti. Permette un paradosso? E' un
tristissimo paradosso. Dal Sud, caro primo ministro, ormai non scappa più
soltanto chi cerca una speranza nell'emigrazione. Dal Sud stanno scappando
perfino le mafie: che qui non "investono" ma depredano solo. Portando
al Nord e soprattutto all'estero il loro sporco giro d'affari. Sì, al Sud non
scorre più nemmeno il denaro insaguinato che fino agli anni '90 le mafie
facevano circolare...
Il Sud è scomparso da ogni dibattito per una semplice
ragione: perché tutti, ma proprio tutti, vanno via. Quando milioni di italiani
partirono da Napoli per le Americhe. Lei lo sa che cosa succedeva al molo
dell'Immacolatella? Le famiglie si presentavano con un gomitolo di lana: le
donne davano un filo al marito, al figlio, alla figlia che partiva. E mentre la
nave si allontanava, il gomitolo si scioglieva, girando nelle mani di chi
restava. Era un modo per sentirsi più vicini nel momento del distacco. Ma anche
per dare un simbolo al dolore: al distacco immediato.
La speranza era che quel filo che i migranti conservavano
nelle tasche potesse continuare a essere mantenuto dai due capi così lontani.
Faccia presto, caro Presidente del Consiglio, ci faccia
capire che intenzioni ha: qui ormai s'è rotto anche il filo della speranza.
ROBERTO SAVIANO, Repubblica.it
ROBERTO SAVIANO, Repubblica.it
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